Tra di noi: UN DIO CHE BALLA

di don Piero Primieri

Domenica. La parola suscita subito sentimenti tra i più vari: per i praticanti è il giorno del Signore, per altri riposo, una gita, una visita… una giornata ricca e varia.
Mi è stato chiesto di condividere la mia esperienza in Africa. Si tratta di ben cinque decenni, che mi hanno permesso di vedere cambiamenti molto coinvolgenti. Agli inizi, a pochi anni dal Concilio, c’era da spendere ore e ore per le traduzioni dei testi liturgici e le preghiere in lingua locale; la gente era ancora abituata al… canto gregoriano.
Si cominciò a conoscere la gente, la loro lingua e le loro tradizioni. Una domenica pomeriggio uno di noi rientrò a casa e chiese: «A che ora hai detto la Messa delle 10?» In verità era bellissimo vedere ogni domenica tanta gente alle messe nelle varie cappelle, uomini in giacca, donne con vestiti coloratissimi, giovani e ragazzi molti con uniformi colorate delle scuole, segno che forse non c’era proprio altro da indossare. All’offertorio tutti uscivano dal banco o entravano per portare personalmente all’altare le loro offerte anche in natura e alla comunione i catechisti stavano a controllare chi andava alla Comunione… ci sarebbero andati tutti.
La puntualità non era proprio una priorità, nessuno aveva fretta; al contrario, si lamentavano se si finiva in fretta, avevano fatto tanta strada.
I primi anni vedemmo una crescita fortissima di catecumeni, nuovi battezzati, si continuava ad aprire nuove cappelle, quasi ogni collina ne aveva una. Anche le assemblee crebbero e si cominciò con canti e ritmi locali. Ci fu un fiorire di canti nuovi, anche testi del Vangelo, venivano così imparati a memoria cantando. Crebbe la partecipazione dei fedeli, sempre pronti a danzare in processione, anche nel banco, rispondendo ai ritmi dei tamburi. Questa disponibilità doveva essere indirizzata. Oltre alle catechesi infrasettimanali si cominciò a organizzare incontri vari, prima o dopo la Messa. Era bellissimo vedere tutti quei gruppi in cerchio a discutere, provare nuovi canti… Si cominciò a stampare foglietti con notizie, chi sapeva leggere lo faceva ad alta voce per aiutare gli analfabeti, con indicazioni su come seguire il Vangelo e metterlo in pratica. Questo era il punto centrale del nostro lavoro: tutti credevano in Dio, tutti pregavano prima di prendere cibo, nessuno bestemmiava, ma c’era da portare la gente ad accogliere un Dio non lontano lassù sul monte, ma che aveva fatto dono di se stesso in Gesù nello Spirito per noi, per diventare figli nel Figlio e cominciare a vivere il comandamento dell’amore reciproco, la fraternità, questa sempre piuttosto difficile da accogliere.
Ogni centro domenicale o cappella ha i suoi leader: questi prima della Messa condividono i vari servizi, canti, letture, preghiere dei fedeli spontanee, raccolta offerte… Questo rende il lavoro più facile per i preti, trovano tutto pronto, così possono programmare due/tre celebrazioni alla domenica pur coprendo distanze considerevoli. Ricordo la preoccupazione, ogni domenica mattina, che in valigetta ci fossero ostie, vino e i vari testi in inglese se si andava a celebrare in qualche scuola con convitto, in swahili se si celebrava in qualche grosso centro dove poteva risiedere gente di altre tribù e in kikuyu ovviamente per la gente del posto.
Il sabato lì è la giornata delle attività sociali, la domenica è per Dio: anche chi ha da viaggiare e tornare al posto di lavoro va al mattino in chiesa e poi parte.
Se poi c’era qualche celebrazione particolare, il santo patrono o altro, dopo la Messa si apriva la cerimonia con canti e danze, mentre in qualche angolo tutta una serie di pentole enormi fumavano posate sulle tre pietre piene di riso e carne: la celebrazione non poteva finire senza un banchetto comune. Le danze erano coinvolgenti, ogni gruppo aveva qualcosa di nuovo, ma tutti aspettavano quelle delle donne perché con il canto i ritornelli avevano da dire la loro. Una volta e davanti al vescovo, mi presero in mezzo cantando: “Avete visto il parroco? È divento tutto bianco: che stia diventando vecchio? Chi sa dove si può trovare la medicina: lo dica, corriamo a comprarla.”
Grazie.