di Fabiana Martini
Da oltre un anno tengono banco nelle sedi della politica e sulle prime pagine dei giornali, da tre secoli hanno cambiato le nostre vite, creando già allora dibattito e divisione, ma contribuendo a salvare migliaia di esseri umani. Dagli inizi del Settecento i vaccini sono uno degli strumenti attraverso i quali si è praticata la cura nei confronti della comunità e anche oggi si stanno rivelando l’arma più efficace per sconfiggere il Covid, il virus che si è insinuato nei corpi di molti, nelle esistenze di tutti.
Nonostante quelli che “mi guardo in giro prima di farlo”, quelli che “è tutto un complotto delle case farmaceutiche”, quelli che “è una semplice influenza”. Nonostante dopo essere stati tutti ct della nazionale siamo diventati tutti virologi e caregiver di qualcun altro, nonostante siamo sempre i primi in classifica nella capacità di saltare le file, nonostante sembra che sia più importante andare in vacanza che prenotarsi per la prima dose.
Perché non basta un’iniezione per il successo di una campagna vaccinale, che non è la somma delle adesioni individuali. Occorrono tempo, cura e dedizione da parte di tutte e tutti; non bastano le scorte di fiale o la disponibilità degli operatori sanitari, se non c’è qualcuno che prende l’appuntamento per la signora anziana che vive da sola e internet non sa neanche cos’è e al telefono non sente: serve una comunità. Che non è un’entità astratta, ma sono volti e nomi che scelgono di fermarsi, di darsi del tempo, di chinarsi sulle persone e sulle loro ferite, di attivare chi se ne intende.
Ricordo male o è una strada che ci aveva già suggerito Qualcuno?